sabato 22 giugno 2013

The Junction Boys


Scrive Roberto Gotta nel suo “Football & Texas” che Bear Bryant, dopo Kentucky, dove in otto anni aveva portato la squadra al suo primo bowl, aveva vinto la Southeastern Conference nel 1950 e nello stesso anno aveva battuto allo Sugar i campioni nazionali di Oklahoma, cambiò aria a causa proprio del suo ottimo lavoro, che aveva portato la squadra di football a rivaleggiare in popolarità con quella di basket, suscitando il risentimento dell’intoccabile coach della squadra di pallacanestro, Adolph Rupp. In Kentucky, allora come ora, il basket non è lo sport di stato, ma molto di più.
Bryant aveva accettato il nuovo doppio incarico (coach e direttore atletico) a Texas A&M soprattutto per il doppio stipendio, non certo per la bellezza del college texano che, in fondo, era una specie di caserma dove la presenza femminile era ridotta al lumicino ed imperavano gli zotici texani appassionati di agricoltura e trattori. Molta meno caserma invece si scorgeva nei giocatori di football della squadra diretta fino all'anno prima da Ray George, bolsi e poco tecnici, elitari e poco propensi alla lotta per guadagnarsi il posto. Queste caratteristiche erano veleno per uno come Bryant che aveva sempre sostenuto la tecnica d’urto già in allenamento con conseguente selezione naturale dei più adatti al gioco.

Il primo tassello che fece saltare fu il medico, che accusò di trattare i giocatori più da mamma amorosa che da professionista della medicina riabilitativa, sostituendolo con Smokey Harper che non avrebbe sfigurato in un ospedale da campo napoleonico. Quando, dopo aver utilizzato le solite pratiche illegali ma diffuse per il reclutamento, si ritrovò con l’ennesimo problema legato alla rozza pedanteria dei booster locali, decise che il camp precampionato del 1954 si sarebbe svolto a partire dal primo settembre per una decina di giorni fuori dalle mura di Texas A&M e precisamente a Junction.
Ok, immagino che più o meno nessuno sappia dov’è, e non lo sapevo nemmeno io finchè non sono andato a controllare, trovandola nella contea di Kimble a 170 chilometri da San Antonio ed a 120 da Austin. La peculiarità di Junction è che non c’è niente: è la perfetta rappresentazione del Texas brullo e polveroso fatto di stazioni di servizio assolate e strade dritte che attraversano lande fatte di alberi spelacchiati e vegetazione stentata. Peraltro la zona era colpita da un periodo di siccità prolungato che durava ormai da quattro anni.

Partiti con tre pullman da College Station, alloggiati in casupole di legno attanagliate da un caldo secco che, secondo i dati del National Climati Data Center, toccò per due giorni i 38° gradi, gli Aggies del 1954 furono a tutti gli effetti spietatamente selezionati ed addestrati a metà strada tra il militaresco e l'eugenetica: niente acqua durante gli allenamenti, solo pezze bagnate (per l'esattezza due per tutta la squadra: una per l'attacco e una per la difesa), fischio d'inizio prima dell'alba e termine dei lavori alle 23 al motto reso celebre da Bryant secondo cui "I make my practise very hard because if a player is a quitter, I want him to quit in practice, not in a game" . Oggi, fare allenamento senza acqua sarebbe considerato crimine contro l'umanità, ma allora tra i coach di ferro era d'uso farlo per "rafforzare i giovani".
Il numero di giocatori che partecipò a quel camp, come nelle migliori leggende, varia a seconda delle testimonianze: da un massimo di 111 ad un minimo di 72 anche se molti si dicono sicuri che i giocatori fossero effettivamente meno di cento. Anche il numero di quelli che tornarono regolarmente con lo staff tecnico varia a seconda delle testimonianze, ma tutti concordano su un punto: se occorsero tre pullman per giungere a Junction, ne bastò agevolmente uno per il viaggio di ritorno, perchè quelli che terminarono il camp furono nei ricordi più ottimisti, 35 ragazzi, il resto dei candidati a un posto in squadra si era fatto di nebbia, massacrato fisicamente o disgustato da quel regime, fuggendo nella notte o scappando alla stazione delle corriere e prendendo il primo bus ovunque fosse diretto. Pare che il centro titolare scavalcò direttamente la staccionata al termine di un allenamento e si dileguò inseguito vanamente dall'allenatore, ma che il giorno dopo, pentito si fosse ripresentato, cacciato da Bryant a sua volta. Gene Stallings, uno dei sopravvissuti, divenne poi coach di A&M dal 1965 al 1971 e vincitore del titolo NCAA con Alabama nel 1992.

Jim Dent, nel suo libro "The Junction Boys" segnala che i ragazzi tornati dal campo infernale furono:
Ray Barrett - G 5-9 195 Sr. San Angelo, Texas
Darrell Brown - T 6-1 190 Soph. Dayton, Texas
James Burkhart - G 6-1 185 Soph. Hamlin, Texas
Donald Bullock - HB 5-11 165 Soph. Orange, Texas
Henry Clark - T 6-2 205 Jr. Mesquite, Texas
Bob Easley - FB 5-11 190 Jr. Houston, Texas
Dennis Goehring - G 5-11 185 Soph. San Marcos, Texas
Billy Granberry - FB 5-7 155 Soph. Beeville, Texas
Lloyd Hale - C 5-10 190 Soph. Iraan, Texas
Charles Hall - HB 5-10 185 Sr. Dallas, Texas
Gene Henderson - QB 6-1 175 Jr. Sonora, Texas
Billy Huddleston - HB 5-9 165 Jr. Iraan, Texas
George Johnson - T 6-3 200 Jr. Ellisville, Mississippi
Don Kachtik - FB 6-1 185 Sr. Rio Hondo, Texas
Bobby D. Keith - HB 6-0 175 Soph. Breckenridge, Texas
Paul Kennon - E 6-1 185 Sr, Shreveport, Louisiana
Elwood Kettler - QB 6-0 165 Sr. Brenham, Texas
Bobby Lockett - T 6-3 190 Soph. Breckenridge, Texas
Billy McGowan - E 6-1 180 Sr. Silsbee, Texas
Russell Moake - C 6-3 215 Soph. Deer Park, Texas
Norbert Ohlendorf - T 6-3 200 Sr. Lockhart, Texas
Jack Pardee - FB 6-2 200 Soph. Christoval, Texas
Dee Powell - T 6-1 210 Sr. Lockhart, Texas
Donald Robbins - E 6-1 188 Jr. Breckenridge, Texas
Joe Schero - HB 6-0 175 Sr. San Antonio, Texas
Bill Schroeder - T 6-1 200 Sr. Lockhart, Texas
Charles Scott - QB 5-8 160 Soph. Alexandria, Louisiana
Bennie Sinclair - E 6-2 195 Sr. Mineola, Texas
Gene Stallings - E 6-1 165 Soph. Paris, Texas
Troy Summerlin - C 5-8 145 Soph. Shreveport, Louisiana
Marvin Tate - G 6-0 175 Sr. Abilene, Texas
Sid Theriot - G 5-10 195 Sr. Gibson, Louisiana
Richard Vick - FB 6-1 185 Sr. Beaumont, Texas
Don Watson - HB 5-11 155 Soph. Franklin, Texas
Lawrence Winkler - T 6-0 225 Sr. Temple, Texas
Herb Wolf - C 5-11 185 Jr. Houston, Texas
Nick Tyson- WR 6-1 181 JR. Norman, Oklahoma

Quelli che poi verranno ribattezzati appunto Junction Boys, temprati da una così forte esperienza, in realtà sul campo diedero pessima prova di loro stessi, chiudendo con un record di 1-9 che è la peggior stagione in assoluto della carriera di Bryant come coach, le cose migliorarono nella seconda (7-2-1) e toccarono il picco nella terza, con nove vittorie e un pareggio per il primo posto nella Southwest Conference. Sempre Gotta, ricorda che non solo per i giocatori quell'esperienza fu irripetibile, ma anche per lo scontrosissimo coach: nel gennaio 1983, al momento della morte per arresto cardiaco, Bryant non aveva con sé nessuna delle onoreficenze guadagnate in campo nella sua carriera lunghissima e vincente, ma l'anello che quattro anni prima gli avevano donato i Junction Boys reduci, al raduno del trentacinquennale.

mercoledì 5 giugno 2013

Deacon Jones e i Fearsome Foursome


David "Deacon" Jones, Hall of Fame e, probabilmente il più grande defensive end nella storia della NFL, è morto lunedi scorso, all'età di 74 anni, nella sua casa di Anaheim Hills, in California.
Specializzato nei sack, di cui pare inventò il nome ("sacking the quarterback"), iniziò la carriera in NFL nel 1961, scelto al 14mo giro dagli allora Los Angeles Rams, dopo la carriera universitaria spesa tra South Carolina e Mississippi Valley State, e nei Rams passò praticamente tutta la carriera (11 stagioni). Jones è stato selezionato per sette Pro Bowl consecutivi con i Rams dal 1964 al 1970, a cui si somma quello del 1972.

Per lui si sono spesso sprecati gli aggettivi, ma i numeri che è riuscito a produrre nella sua carriera fanno di lui un giocatore difficilmente avvicinabile: due volte NFL Defensive Player of the Year, è stato soprannominato "Il Segretario della Difesa" dai tifosi dei Rams, e successivamente "Defensive End del secolo" da Sports Illustrated nel 1999. L'ex coach dei Rams George Allen, etichettò Jones come "il più grande defensive end del football moderno" mentre il Los Angeles Times lo selezionò come "il miglior Rams di sempre" e con una carriera chiusa nel 1974, Jones è stato inserito nella Pro Football Hall of Fame già nel 1980.
Jones, che ha dimostrato di essere uno dei giocatori più "inscalfibili" nella storia della NFL, mancando solo in cinque partite (di cui quattro consecutive nel 1971) durante la sua carriera pro lunga 14 anni - fu poi ceduto ai San Diego Chargers nel 1972 togliendosi lo sfizio di tornare al Pro Bowl nel 1972 e guadagnandosi i galloni di capitano anche nella squadra della baia. Jones ha infine terminato la sua carriera nel 1974 con i Redskins. 
Un grosso neo rimane sulla sua carriera, che però non dipende da lui, ovvero le statistiche su quelli che lui contribuì a definire sacks, che iniziarono ad essere tenute solo dal 1982, il che vuol dire che non si hanno numeri della sua specialità prediletta. Secondo la media guide dei Rams, Jones avrebbe mandato a tabellino 159,5 sacks con la franchigia e 173,5 nella sua carriera. Sette anni in doppia cifra e primo lineman difensivo a superare i 100 tackle in una stagione (1967).
NFL.com ha recentemente riportato due brevi ma splendidi ritratti di questo uomo che ha saputo essere splendido atleta e poi uomo sensibile ai problemi della propria comunità, avviando la Deacon Jones Foundaton. Il primo è di Kevin Demoff, COO and executive vice president dei Rams:
"Deacon Jones was one of the rare players who changed the way the game was played, in this day and age, the term 'great' is often overused, but it only begins to describe Deacon Jones as a player and person. His combination of God-given talent and relentless effort made him one of the greatest players to ever put on an NFL uniform. His spirit, laughter and gentle nature off the field made him a friend to all. Deacon was a legend in every sense of the word, and he'll truly be missed by the Rams, our fans and the NFL community".
Il secondo è di colui che ne ha preso virtualmente il posto dopo quasi trent'anni, Chris Long figlio di Howie Long:
"The thing we've got to remember being players in this era is to really respect the game 'back when,' because those guys could really play, Deacon Jones is a perfect example. This whole league and everybody in this game should honor the past and the players who played in that era. Those guys paved the way for us."
Jones inoltre è passato alla storia per aver composto con Merlin Olsen, Rosey Grier e Lamar Lundy quello che fu poi chiamato "Foursome Fearsome", una delle più famose linee difensive nella storia della NFL. In realtà la dicitura Foursome Fearsome era già stata usata per altre linee difensive, la prima di queste era stata quella dei Giants del 1957 di cui faceva parte Grier, quest'ultimo si era poi trasferito a Los Angeles nel 1963 andando a comporre la defintiva e più conosciuta versione del Fearsome Foursome. Grier chiuse la carriera con i Rams nel 1966, ma la linea continuò a rimanere la più temibile fino all'inizio degli anni '70. Di questo fenomenale quartetto, dopo la morte di Jones, rimane oggi il solo Grier, ottantenne, dopo la morte di Olsen nel 2010 e di Lundy nel 2007.
Sembra scontato dirlo, ma i grandissimi campioni continuano a giocare assieme anche dopo averci abbandonato.










lunedì 3 giugno 2013

Fielding H. Yost

Qualcuno pensa che la H di Yost stia per "Hurry Up!", dal suo intercalare celebre, con cui iniziava praticamente ogni esortazione ai suoi ragazzi.
Qualcuno pensa che la sua carriera di direttore atletico, con l'inaugurazione del Michigan Stadium, la realizzazione della prima palestra per gli sport al coperto; sia almeno paragonabile a quella straordinaria da allenatore, con un record di 198-35-12.
Ok, erano altri tempi, non lo metto in dubbio, ma Yost fu uno di quelli che portò il college football dagli "altri tempi" ai "nostri tempi", contribuendo all'embrione di Bowl giocato nel 1902 a Pasadena, inventando la posizione di linebacker, abbattendo i primi muri razziali con l'inserimento in squadra di giocatori di origine ebraica, facendo diventare la figura del coach una professione molto ben remunerata, più degli altri professori, e inventando i permessi per gli studenti atleti, argomentando che "Football builds character".
Certo, non sono state tutte rose e fiori, partendo dalla sua carriera di giocatore per West Virginia e, per una settimana, per Lafayette, dando vita allo "Yost Affair", proseguendo per il bando da lui consigliato (ma per alcuni imposto) alle altre squadre della Western Conference di giocare gare contro Notre Dame, finendo sul suo contributo fondamentale a trasformare il college football in un modo per fare soldi, per sé e per Michigan.
Yost era nato a Fairview, in West Virginia, nel 1871. Inizialmente arruolato alla Ohio Normal School (college conosciuto ora come Ohio Northern University) come giocatore di football, si iscrisse poi alla West Virginia University dove conobbe il gioco del football che si addiceva alle sue caratteristiche fisiche (182cm, quasi 91 chili) e fu ottimo tackle. Nel 1897, a 26 anni, iniziò la carriera di allenatore in giro per le università, ne cambiò quattro nei primi quattro anni di professione, comprese Nebraska e Stanford, fino ad approdare a Michigan alla "corte" di Charles Baird, dopo le dimissioni di Langdon Lea. Yost in realtà puntava alla università dell'Illinois dopo essere rimasto senza lavoro: Stanford aveva introdotto una nuova norma che impediva agli allenatori non alunni del college di continuare la loro attività; Baird invitò il giovane coach presso Ann Harbor e, dopo una breve visita, lo assunse.
Il primo colpo per Yost fu portarsi dietro Willie Heston da San Josè, un tipetto bassino ma esplosivo che nelle gare sulle 40 yards batteva con una certa regolarità il campione olimpico dei 100 metri Archie Hahn. Fu il primo tassello di una squadra a dir poco spaventosa, che nei suoi primi cinque anni di vita segnò un record di 55-1-1 segnando 2821 punti e subendone 42, l'unica sconfitta fu nella gara di chiusura del 1905 per mano della Chicago University, con il punteggio di 2-0 grazie ad una safety causata dal placcaggio di Danny Clark in endzone. Clark rimase talmente ossessionato da quell'errore, che si tolse la vita nel 1932 lasciando scritta la speranza che quell'"ultima giocata" espiasse definitivamente quella del 1905.
Germany Schulz a sinistra e Fielding Yost al Ferry Field nel 1914
La sconfitta di Chicago fu seguita da stagioni molto controverse soprattutto a livello extrasportivo: il rettore di Stanford, Jordan, pubblicò un articolo sulla carta stampata in cui accusò Yost di convincere con varie facilitazioni i migliori giocatori a diventare una sorta di finti studenti di Michigan. A sua volta il rettore di Michigan, Angell, si attivò per riunire le università della Western Conference introducendo svariati limiti e nuove normative per opporsi al progressivo aziendizzarsi del football di college, tra queste regole anche la limitazione della stagione a cinque gare. Nel 1906 Michigan chiuse 4-1 sconfitta l'ultima gara da Penn davanti a 26.000 persone, una enormità. Altre riforme entrarono in vigore come la limitazione a tre anni per l’elegibilità dei giocatori. Michigan non accettò questi ulteriori paletti e si ritirò dalla Western Conference diventando un college indipendente, situazione che continuò fino al 1917 e che diede stagioni non certo brillanti, spese prevalentemente in gare contro Penn, Syracure, Cornell e Vanderbilt, con la macchia della prima sconfitta nella storia della rivalità con Notre Dame. Nel giugno 1917 la riunione dei responsabili delle sezioni atletiche della Western Conference votarono l’invito a Michigan per il rientro nella lega, che accettò ma, con i tempi molto brevi, mise in programma solo una gara contro college della sua lega, Northwestern, vittoriosa ad Evanson 21-12.
L’ingresso degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale rese incerta la stagione 1918 per il richiamo alle armi di molti ragazzi impegnati negli studi, e per le restrizioni alla circolazione imposti in periodo di guerra, a questi si aggiunse la celebre influenza spagnola che mietè un numero impressionante di vittime. La stagione fu comunque disputata seppur accorciata, e Michigan chiuse imbattuta assieme ad Illinois, venendo dichiarata campione nazionale successivamente dalla National Championship Foundation. A questa grande soddisfazione fece seguito la peggior stagione dell’era Yost, quella del 1919, che si chiuse 3-4 con un record di conference di 1-4: l’unica stagione perdente del coach a Michigan, che fu però anche un punto di partenza per una ricostruzione paziente che portò a due stagioni mediocri all’interno di quella che era diventata la Big Ten, ma che diede il titolo nel 1922 con una stagione fatta di sei vittorie e un pareggio, e concesse il bis nel 1923 in coabitazione con Illinois (entrambe 8-0), che valse alla squadra anche il titolo nazionale. Quest’ultima fu coronata dalla vittoria contro Ohio State 23-0 in un impianto colmo di 50.000 persone.

Dopo la pausa del 1924 in cui allenò la squadra George Little, quando il college pare riuscisse a portare allo stadio tanta gente quanto solo Yale riusciva a fare, nel 1925 e 1926 la squadra tornò a Yost e fece un grandioso canto del cigno vincendo altre due volte il titolo della Big Ten, giocando con il famoso "The Benny-to-Bennie Show” ovvero con il quarterback Benny Friedman ed il left end Bennie Oosterbaan, passati alla storia come una delle coppie più funzionali e letali del college football. Yost, al termine della stagione 1926 si ritirò per proseguire il suo lavoro di direttore atletico del college che, in un quarto di secolo, aveva contribuito a portare a vette di eccellenza mai toccate prima. Michigan si apprestava ad inaugurare l’imponente Michigan Stadium capace di 82.000 persone, e realizzava in quegli anni la prima palestra dedicata agli sport al coperto.Ovviamente questo distacco gli pesò molto, e fu il motivo per cui conservò il ruolo di assistente coach, per ficcare un po’ il naso ancora nella squadra, ora diretta da Elton Wieman. Il rapporto tra i due non dovette essere facile soprattutto per la riluttanza di Yost a mollare l’osso: dopo una sola stagione, prima dell’inizio del campionato 1928, il direttore atletico prima annunciò l’intenzione di tornare a guidare la squadra, poi la sera dopo cambiò idea rimettendo in sella Wieman. il disastroso ottobre (0-4) fece esplodere la polemica tra i due, e Wieman accusò Yost di non avergli mai veramente ceduto il controllo della squadra, e di averlo usato come parafulmine per i problemi. L’amara conclusione indusse Yost a tornare dietro la scrivania da direttore atletico, Wieman a intraprendere una brillante carriera a Princeton, e Harry Kipke a diventare il primo “vero” coach post-Yost.

In tarda età ebbe una salute malferma e fu lungodegente al Battle Creek Sanitarium, dove morì nel 1946 a 75 anni. Riposa, dopo l’enorme mole di lavoro che fece in vita, al Forest Hill’s Cemetery di Ann Harbor, vicino al suo amato campus.